Buon sabato a tutti, oggi vorrei condividere con voi un approfondimento che mi ha richiesto Francesca rispetto alle differenze che intercorrono tra i caratteri dei bambini, dando uno sguardo ai ruoli che questi si ritagliano nel gruppo dei pari.
Innanzitutto però, devo fare una premessa che per me in qualità di educatrice è assai importante: facciamo attenzione a definire un bambino con un aggettivo, perché si incorre nel rischio di “classificarlo” assegnandogli un’etichetta basata su impressioni e giudizi che spesso non corrispondono alla sua vera indole, limitandosi a coglierne solo alcuni aspetti.
Invece di stigmatizzare il carattere del bambino con giudizi che rischiano di immobilizzarlo in uno stereotipo, (professionalmente da noi definita profezia auto avverante), è importante capire che cosa lo spinge a comportarsi in un certo modo, delle volte negativo più per se stesso, prima ancora che con o per gli altri. È importante per questo motivo provare a parlare di caratteri o temperamenti tendenzialmente pigri, oppositivi, aggressivi, timidi, e così via.
Per iniziare a rispondere alla domanda di Francesca è bene definire quando un bambino è un leader? E quando un gregario? O ancora, quando è invece un bullo?
Parto da un esempio a me familiare e per cui più facile.
Io ho due figli maschi, il più grande è un bambino molto sensibile, intelligente, fedele ai suoi principi e ai suoi amici. È un bambino ben voluto nel suo gruppo classe, le maestre restituiscono di lui una personalità calamitante nei confronti dei suoi compagni, è il cosiddetto leader positivo, è uno di quei bambini a cui piace sentire di essere importante per i suoi compagni e questo aspetto lo gratifica molto. È un bambino con una discreta personalità e crescendo questo aspetto si è definito. Gli piace prendersi cura degli altri o svolgere compiti di supporto alle insegnanti. Essere un leader significa essere un bambino piuttosto sicuro di sé ed essere in grado di assumersi alcuni compiti senza stress emotivi, facendosi apprezzare dai compagni. Sappiate però, che anche un gregario ha un potenziale positivo che spesso viene sottovalutato. Forse non ha troppo spirito d’iniziativa, non è un trascinatore, ma è spesso dotato di capacità di riflessione e ha buone relazioni con gli altri. Lo stesso figlio di cui vi parlavo prima in termini di leader, si trasforma in un gregario in quei contesti in cui non padroneggia, in cui non si sente all’altezza o non viene riconosciuto, quindi o si isola, o si aggrega a quei comportamenti meno favorevoli, che potremmo definire (esagerando) trasgressivi, sperando in questo modo di ritagliarsi uno spazio e una visibilità. Come potete evincere voi stessi quindi, non posso definire mio figlio né in un modo né in un altro, ma semmai posso evidenziare delle sue caratteristiche in relazione ad alcuni contesti specifici.
Per fare un altro esempio, quando abbiamo a che fare con bambini timidi è necessario sapere che la timidezza nasce da un temperamento iper-emotivo che rende estremamente sensibile il bambino agli stimoli esterni. Se a questa vulnerabilità emotiva si aggiungono influssi ambientali negativi, è probabile che il bambino tenda a chiudersi nel suo guscio, sforzandosi di esercitare il massimo controllo sulle emozioni, che avverte come un pericolo. Un bambino timido pertanto è un bambino che ha bisogno di essere rassicurato e rafforzato continuamente nella sua autostima, ponendo al primo posto le sue qualità e allo stesso tempo accettando i suoi limiti. Allo stesso tempo però un bimbo timido e riservato in classe, può diventare un leader riconosciuto e apprezzato sul campo di calcio, tra compagni di squadra, magari perché mostra una predisposizione naturale per lo sport.
Il bambino che invece si approccia con aggressività, fa trasparire questa sua caratteristiche anche dai gesti, dal tono della voce, dal modo di guardare, di afferrare le cose, perfino nelle manifestazioni di affetto; è come se ci fosse “una energia eccessiva”, che potrebbe trasformare la tenerezza nel suo contrario. Per poter incanalare le tendenze aggressive, presenti in ogni bambino, bisogna prima di tutto aiutarlo a riconoscerle dentro di sé. È importante fare un lavoro con lui che lo abitui a riconoscere ciò che accade in lui, è importante che impari a dare alle sue emozioni i giusti nomi, e con esse anche individuare quali sono le azioni che provocano in lui quelle reazioni eccessive. Solo cosi nel tempo imparerà a dosare la giusta energia e a sfogarla anche nel riconoscimento verbale di quello che prova. Quando il bambino è travolto dalla collera è importante mantenere la calma, in modo da contenere la sua aggressività. Ogni bambino ha delle caratteristiche personali e uniche che, a differenza di noi adulti, non sono del tutto formate e definitive ma sono soggette a cambiamenti dovuti a condizionamenti sociali, culturali e familiari.
Qual è la differenza tra questi caratteri e, invece, un bambino che si comporta da bullo? Premesso che si potrebbe dire molto, approfondendo cause ed effetti, rischiando però di scrivere una tesi, cercherò di riassumere in breve questo ampio argomento.
Innanzitutto fare il bullo significa dominare i più deboli e indifesi con atteggiamenti aggressivi e prepotenti, sottoponendoli a continue angherie e soprusi. Il bullismo presenta specifiche caratteristiche: l’intenzionalità (voler deliberatamente ferire, offendere, arrecare danno o disagio); persiste nel tempo, e nella relazione, il bullo è più forte e la vittima è più debole e spesso incapace di difendersi. Il bullo spesso viene definito un leader, certo erroneamente, in quanto non è empatico, non possiede la facoltà di calarsi nei panni degli altri, non attua un comportamento per valorizzare e coinvolgere e ha una modalità relazionale improntata sulla prevaricazione e sulla coercizione piuttosto che sulla collaborazione. Come si può fare per cambiare questo atteggiamento?
É necessario valorizzare il bambino e sostenerlo nell’acquisizione di una fiducia in se stesso consentendogli di superare senza timore e aggressività gli ostacoli, gli insuccessi e le frustrazioni. Un’educazione frustrante e punitiva è fautrice di atteggiamenti di risposta di tipo aggressivo. Svalutare un bambino punendolo, non serve ad evitare il ripetersi dell’azione indesiderata e significa provocare indirettamente comportamenti aggressivi che lo mettono in una posizione di difesa. Un bambino diventa un bullo perché a sua volta si sta difendendo da qualcosa.